Una prosa potente, energica, sconvolgente quella che Jamaica Kincaid usa in questo disturbante romanzo per raccontarci – attraverso un lunghissimo monologo in prima persona – la vita di una donna del Caribe che fino a metà libro non avrà nome ( e che quindi io non vi dirò).
La sua è una storia di dolore, di abbandono, di privazioni, una storia che lo struggente incipit – uno dei più belli che abbia mai letto – racchiude già tutto:
Mia madre è morta nel momento in cui nascevo, e così per tuta la mia vita non c’è mai stato nulla fra me e l’eternità; alle mie spalle soffiava sempre un vento nero e desolato.
Sulla consapevolezza di questa ferita iniziale, sullo strappo violento dal quale ha origine la sua nascita, la protagonista costruirà tutta la sua vita futura: una vita difficile, segnata da fortissimi dolori, una vita basata su di un unico pilastro. Quello del disamore.
La presenza costante della madre al suo fianco, defunta e irraggiungibile, madre di cui non possiede neppure una fotografia, madre sognata e immaginata, di cui può figurarsi solo i calcagni mentre scende una lunga scala, e la presenza – solo per brevi momenti – di un padre assente e crudele, determineranno tutte le scelte di disamore che caratterizzeranno la sua vita.
Non c’è mai lamento però, né disperazione e neppure autocompatimento, ma semmai accettazione. La protagonista di questo romanzo è una donna forte che prende atto della sua situazione e, rimboccandosi le maniche, va avanti, giorno dopo giorno, affrontando a testa alta quello che le capita.
Ama la vita, in tutte le sue sfumature e ama vivere con pienezza, senza nascondersi, senza mai tirarsi indietro.
La prosa della Kincaid si snoda in bilico tra il tono poetico e la spudorata descrizione dei fatti dipingendoci un Caribe dai colori forti, dalla natura violenta, dove quando piove lo fa per giorni interi e si allaga tutto, dove il buio della notte è un manto avvolgente e inquietante, dove il sole alto nel cielo sembra sciogliere ogni cosa.
Perché leggere Jamaica Kincaid?
Perché è libera. libera di affrontare temi forti, scomodi, senza nascondersi. Libera di parlare di sesso, corpo, aborto, amore, odio, abbandono senza tabù né censure. Libera di dire tutto quello che noi avremmo paura di dire e di farlo in modo schietto, sincero.
Ho sposato un uomo che non amavo. Non l’ho fatto per capriccio, non l’ho fatto per calcolo, e tuttavia questo matrimonio ha avuto la sua utilità. Mi ha permesso di fare della mia vita una storia, mi ha permesso nel buio fondo della notte, quando a volte era necessario che lo facessi, di pensare a tutte le mie azioni e a me stessa con dolcezza e indulgenza.
Libro chiama libro: Oltre agli altri romanzi di Jamaica, questo romanzo fa venir voglia di leggere “Il grande mare dei sargassi” di Jean Rhys, che può essere considerata il riferimento letterario principale della Kincaid.
Puoi trovare questo romanzo QUI.
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