Addobbi, conserve e il Natale mancato

Dopo un Novembre grigio di preoccupazioni, intervallato da qualche giornata di sole, è subito arrivato Dicembre. Lo abbiamo iniziato con entusiasmo, portando giù dai ripostigli in mansarda il nostro abete sintetico e tutti gli addobbi che abbiamo accumulato negli anni.

La Casa non era ancora arredata completamente, soprattutto la sala, con le sue vecchie librerie e la mancanza così evidente di un divano. Però, per la prima volta nella storia delle nostre case, avevamo un camino, un meraviglioso camino in marmo e pietre colorate che avrei passato le ore a guardare e davanti al quale mi sarei seduta a scaldarmi, leggendo. Cenare in quella stanza, come facciamo tutte le sere, è diventato ancora più piacevole e la mancanza di un televisore lo rende un momento intimo e raccolto.

Oltre all’albero di Natale, con le sue palle anni ’30 ereditate dalla nonna, C. – mio marito – ha voluto costruire anche il presepe, all’esterno, sotto al portico. Il legno e i sassi in tufo per la capanna li avevamo già, abbiamo solo dovuto aggiungere altri grossi sassi e tanto, tantissimo muschio che non abbiamo fatto fatica a trovare nel nostro giardino. Le statuine in gesso, cimeli di presepi di cent’anni fa e un fiume con il suo laghetto di stagnola hanno completato il nostro lavoro.

Ah, no! C. ha voluto aggiungere, oltre alle lucine, un ramo d’edera che girava tutto intorno al tavolo per bordare il muschio. Mi ha sempre fatto tenerezza la sua dedizione alla preparazione del presepe, ricordo di un’abitudine da bambino: a differenza di me, che che sono più spiccia  e sbrigativa e non ho voglia di perdere delle ore – ma nemmeno una – a costruire qualcosa che tra un mese dovrò disfare.

In casa ho ricoperto la mensola sopra al camino con rami di agrifoglio raccolti nel bosco assieme a C., frutto di una domenica pomeriggio. La scala che porta ai piani superiori è stata avvolta da vari rami ( finti ) di abete decorati con pigne, bacche e foglie. I miei ragazzi sono stati fondamentali per questo lavoro, che hanno fatti quasi tutto da soli. Una grande ghirlanda sulla porta d’ingresso e diverse calze sparse qui e là hanno completato il tutto. Non abbiamo usato tutti gli addobbi che abbiamo né ne abbiamo comprati di nuovi; nonostante tutte le buone intenzioni del caso, sapevo che non sarebbe stato un Natale come tutti gli altri.

Anche se non immaginavo sarebbe stato così diverso.

I giorni prima sono volati via velocissimi, benché  mi fossi organizzata per tempo: ho ordinato i regali per i ragazzi online, ho spedito un pacco ai miei genitori – anche se loro avevano deciso di non fare regali quest’anno – con qualche sorpresina dolce, delle tisane, le mie tazze, la mia borsa e l’immancabile agenda per papà.

Ho passato giorni a fare la spesa nei diversi negozi di alimentari del mio paese per cercare di supplire alla mancanza del pranzo natalizio in montagna nella casa dei miei, dove ho trascorso tutti i Natali che ricordo, e anche quelli che non ricordo.

Mi sono impegnata molto. Non ci sono riuscita.

O meglio, sono riuscita a preparare un pranzo accettabile e anche una cena e il pranzo del giorno dopo, ho fatto i biscotti e anche i cracker      ( buonissimi!), lo sciroppo di melagrana e la conserva di cetrioli, però quel giorno non era Natale.

C’eravamo noi, c’era il camino acceso, c’era il giardino imbiancato e i ragazzi felici per i regali ricevuti però non era Natale.

Sono abituata a stare in casa e vivo lontana dalla mia famiglia di origine da vent’anni però, proprio per questo, quei due o tre appuntamenti annuali in cui ci ritroviamo tutti in montagna dai miei sono importanti perché riescono ad azzerare gli altri dieci mesi in cui non ci vediamo  e ci sentiamo solo al telefono.

Quest’anno non c’è stata la Pasqua, ci siamo visti un po’ d’estate, all’inizio solo all’aperto e distanziati, e poi da una domenica di inizio ottobre, quando ci siamo salutati con le mascherine attraverso il giardino, basta. Penso sia necessario fare così, non è facile però. Né giusto.

I giorni lenti di fine dicembre li ho trascorsi leggendo ( molto), correggendo vecchi post del blog e passeggiando per il bosco. Non ero mai andata nel bosco con la neve, prima, vestita da sci e con le racchette per non cadere. E’ un’esperienza meravigliosa percorrere i sentieri in un silenzio ovattato interrotto solo dai richiami degli uccelli, mentre si cerca di decifrare le impronte degli animali lasciate durante la notte sulla neve fresca. E’ bellissimo essere la prima ad attraversare alcuni passaggi, con la neve che arriva al polpaccio e il cappello di pelo calato sugli occhi.

L’incontro diretto con la natura, questo mese, lo ha avuto George, il nostro gatto rosso.

Un sabato pomeriggio, mentre raschiavamo il muschio da un muretto per metterlo in una cassetta di legno, io e B., mia figlia, abbiamo sentito alcune cornacchie gracchiare furiose dalla cima di un abete. I loro lamenti erano talmente forti da richiamare in giardino anche C. e mio figlio P. Dopo un po’ siamo siamo andati a guardare, incuriositi.

Sul primo abete del giardino in alto stava appollaiato George, arrampicatosi su un ramo abbastanza in alto da aver attirato l’attenzione delle cornacchie, che si lamentavano per farlo andare via. Lui, terrorizzato, stava immobile sul ramo. Solo quando i miei figli si sono avvicinati facendo rumore se ne sono andate, sdegnate.

Finalmente George è potuto scendere, orecchie basse e occhi tondi spalancati, ed è corso in casa. Da quando ci siamo trasferiti George è molto più vivace e felice e ce lo comunica saltellando per il giardino, nascondendosi dietro siepi e muretti per poi sbucare all’improvviso, arrampicandosi sul glicine e su tutti gli alberi che trova, facendosi le unghie ed esplorando tutto il parco. Tanto che P. chiama il giardino:        ” parco giochi per gatti”.

Dicembre se n’è andato con la neve, tra mille botti che cercavano di esorcizzare questa voragine di mancanza che ci sta inghiottendo e poi con le lanterne che si innalzavano dolcemente in cielo. Le ho viste dalla finestra della nostra camera da letto, che ha una visuale ampia su tutta la valle.

Nonostante tutto, il 2020 se n’è andato con un tocco di poesia.