Febbraio, per me, è stato il mese dei “niente”.

Niente Carnevale, ancora.

Niente Festival di Sanremo, l’hanno spostato al mese prossimo.

Niente San valentino. Non l’abbiamo mai festeggiato e quindi niente anche quest’anno.

A febbraio mi sono dedicata a Beba. Non stava bene, e dopo un ennesima visita dal veterinario, abbiamo  deciso di farla sterilizzare e di approfittare dell’anestesia per farle fare tutti gli esami. Per fortuna non è emerso nulla di tragico anche se purtroppo tutte quelle indagini non hanno chiarito del tutto la situazione.

A febbraio ho terminato i due corsi di scrittura online che frequentavo da dicembre e mi sono iscritta la terzo, dedicato al racconto.

A febbraio una mattina, mentre stavo scrivendo alla mia scrivania, ho alzato gli occhi verso la finestra e ho visto un uccello verde sul primo gradino di pietra davanti alla fontana del ranocchio,

Poi si è alzato in volo e ho notato anche del rosso tra le sue piume. Non sapevo esistessero uccelli con quei colori nei nostri boschi ma una ricerca in internet e una telefonata ad una mia amica, che abita anche lei vicino al bosco, mi hanno confermato che si trattava di un picchio verde.

Da quel giorno tutte le mattine che mi ritrovo seduta alla scrivania, alzo ogni tanto gli occhi verso il giardino, ma non mi è mai più capitato di vederlo.

A febbraio ho continuato a passeggiare nel bosco e le giornate più miti mi hanno fatto abbandonare il piumino per una giacca di pile, aperta davanti per poterla togliere facilmente, se necessario.

Camminare con Beba al guinzaglio da una parte – non la posso ancora lasciare libera, non saprebbe tornare a casa – e il bastone dall’altro – il sentiero è molto ripido – significa andare di fretta, perché Beba non è capace di stare legata e corre come probabilmente faceva prima quando vagava libera per le strade.

Arranco sudata dietro di lei, a volte con il sole a picco sopra la testa, laddove il sentiero è più aperto e non ci sono alberi a ombreggiarlo.

Spesso mi ritrovo a maniche corte, la giacca in vita, tentando di prendere fiato quando lei si ferma ad annusare, incuriosita, una radice.

Arriviamo fino a sopra il lago, adesso.

Il sentiero si allarga in uno spiazzo circondato da alberi, un tronco è sistemato come fosse una panchina.

Da lì si vede tutta la distesa d’acqua sottostante e se ci si spinge con lo sguardo un po’ più in là, si arriva ad abbracciare anche altri due laghi.

Se non c’è nessuno, ci sediamo.

Lei mi guarda, tira, vuole continuare.

Io resisto, prendo la borraccia. Ma dura poco.

Subito mi alzo e prendiamo la via del ritorno.

Procediamo veloci. Beba in salita mai aiuta tanto, è come essere attaccati allo skylift, solo che poi all’improvviso si blocca, soprattutto in discesa, e devo stare attenta a non caderle addosso.

Spesso George, il nostro gatto rosso, ci segue, fino al belvedere.

Le poche volte che incrociamo qualcuno, ridono e si stupiscono nel vederlo dietro di noi. Mi chiedono se non si perde.

No, non si perde. George è bravissimo  a camminarci accanto ma se la sa cavare molto bene anche da solo, l’ho sempre lasciato libero di esplorare il giardino e di andare dove voleva. Spesso di sera vuole uscire e passa la notte in giro.

Non ha il coprifuoco, lui.