Luglio per me è il mese più lungo dell’anno.

Restiamo a casa, le giornate sembrano infinite, il caldo mi spossa e mi ritrovo a sognare la pioggia, di giorno e di notte.

Questo luglio però non mi importava che fosse luglio; mi importava solo di non stare troppo male e di arrivare a sera avendo letto quanto più possibile e di andare quindi a camminare. Sono tornata a passeggiate accaldate, senza l’aria del mare a sostenermi; le gambe mi chiedevano di andare, la testa si rifiutava di farlo senza vento e senza tutti quei profumi. Avevo ancora negli occhi la spensieratezza dei giovani visti al mare, la loro voglia di vivere, dopo un anno e mezzo di reclusione. Mi ritrovavo a pensarci mentre procedevo per strade deserte, lampioni che si spegnevano e  poche persone nascoste dalle mascherine.

Poi però tornavo al mio giardino e la vista delle lucciole che apparivano e scomparivano danzando davanti a me mi ridava fiducia nella vita; mi sedevo in silenzio tra loro, osservandole per interi minuti e mi sembrava di non aver mai visto nulla di più bello.

Una sera, sulle scale che si arrampicano verso casa ho trovato un riccio: aspettavo di incontrarlo da tempo, nella vecchia casa abitava un’intera famiglia con tre piccolini che guardavo tutte le sera scorrazzare per il prato dalla finestra della mia camera, ma qui non li avevo ancora mai visti, E’ stato solo l’incontro di una sera, ma credo di aver capito dov’è la sua tana. La prossima estate saprò che c’è, e lo aspetterò con maggiore impazienza.

“Luglio si veste da novembre se non arrivi tu”; tu non sei arrivata ma novembre è solo dentro il mio cuore.

Ad agosto siamo andati in montagna.

Finalmente un’altra partenza, questa volta insieme alla nostra Beba.

Abbiamo trascorso dieci giorni in un appartamentino al terzo piano; credevo saremmo stati stretti, con Beba, invece siamo stati bene. Io ho semplicemente continuato a camminare. Non ancora ad alta quota – non me la sono sentita, non ero abbastanza allenata – ma per il paesino la mattina e in avanscoperta dei paesi limitrofi nel pomeriggio, quando il resto della famiglia tornava dalla gite più lunghe.

La sfida più difficile è stata quella con le strade in salita e le curve di montagna; non credo di averla vinta, qualche volta è andata bene e qualche altra meno. Per fortuna, non guidando io, sono sempre tornata a casa sana e salva; fosse stato per me sarei ancora a milleseicento metri in piedi in un parcheggio appena fuori un agglomerato di tre case e un bar/bazar a guardare incerta la strada che scende a valle, snodandosi sinuosa tra gli alberi sempreverdi. Chissà se ha fatto freddo quest’inverno. Ero in pantaloni corti.

Beba è stata felicissima di correre per prati sconfinati, di toccare la neve, di abbaiare alle marmotte e di scappare di fronte alle capre di  montagna; tornava a casa distrutta, e dopo due piani si sedeva davanti alla porta dell’appartamento sotto al nostro, ogni volta incredula di dover fare un altro piano. Ci provava sempre, magari una volta le sarebbe andata bene e saremmo entrate in quella casa, meno faticosa.

Ogni sera, verso le dieci, ancora non paga, portavo Beba a fare l’ultima passeggiata della giornata: qui non avevamo il giardino e credevo avesse bisogno di un’altra uscita per poter resistere fino alla mattina dopo. In realtà, come avrei scoperto in seguito, Beba ha una resistenza fuori dal comune e non ne ha bisogno, allora però non lo sapevo, e le nostre passeggiate notturne sono uno dei ricordi più belli di quella fine di agosto.

Le serate erano limpide e piene di stelle; la piazza della chiesa sotto di noi deserta. Faceva fresco, mi mettevo i pantaloni lunghi da montagna e una giacca sopra il pile. Passeggiando lungo la via centrale osservavo il corpulento proprietario del bar-ristorante arrampicato sul suo sgabello, lì per strada, giocare a carte con qualche cliente. Più avanti, passando davanti alla scuola elementare, un coro provava canzoni di montagna. Certa sere c’era la fila fuori dalla pizzeria, altre no.

Svoltando verso il piccolo cinema, abbandonavamo la via centrale per immergerci nel silenzio delle case illuminate e nel profumo intenso degli abeti, un profumo che così non ho mai sentito da nessun’altra parte.

Sono belle le Alpi in una notte di fine estate; sono alte e lontane e fanno paura. Ma quanto sono belle.

E un po’ come mi era successo al mare, la notte camminavo accanto ai miei fantasmi e alle mie ombre, ma questa volta c’era Beba con me e la tristezza infinita si era già sciolta in struggente malinconia.