E siamo infine arrivati all’ultimo mese di questo nostro primo anno alla casa nel bosco.

Non mi sembra ancora possibile che siano già passati quasi dodici mesi, sembra davvero ieri che eravamo bloccati nella casa vecchia, senza poter uscire di casa, nemmeno per venire qui a prendere le misure e a pulire; e infatti si vede, mancano ancora moltissimi mobili, in giardino non ne abbiamo nessuno, la sala è ancora tutta da inventare, l’ingresso è provvisorio, mancano tutte le tende e quasi tutti i lampadari. Le piastrelle del bagno sono sbagliate e secondo me anche il piatto della doccia ( ma non ditelo a mio marito).

A settembre siamo tornati dalla montagna, pieni di nuovi panorami e di chilometri nelle gambe.

La casa era un disastro: ora che finalmente faceva meno caldo si potevano fare tutte le pulizie necessarie prima di affrontare una nuova stagione. Mille lavatrici, organizzare il rientro a scuola e infine mia suocera, in trasferta da noi per dieci giorni.

Non ti dico la stanchezza. E mio marito malato, i primi giorni.

In questo caos, che rischiava di farmi affondare, mi sono attaccata più forte che potevo alle mie ancore di salvezza: la lettura e lo studio. A maggio, il mese che non ho voluto raccontare, ma che credo possiate immaginare, nel mezzo della tristezza più assoluta ad un certo punto l’unica cosa che mi sembrava di poter fare era leggere. Non mi andava ma mi sono un po’ forzata perché sentivo che mi faceva bene. Non cambiava le cose ma mentre leggevo riuscivo, per qualche breve attimo, a dimenticare tutto. E allora sono andata avanti, una pagina dopo l’altra. Anche quando non ne avevo voglia, anche quando non avrei voluto fare nulla e persino quando starmene in giardino a guardare nel vuoto mi sembrava l’unica cosa possibile.

Il libro che ha cambiato la mia prospettiva è stato: “Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop” di Fannie Flagg.

In quelle settimane ho compreso appieno la potenza che possono avere i libri, se appena gliene diamo la possibilità: non una semplice distrazione ma una vera cura. Se un solo libro aveva cambiato così tanto la mia visione della vita in pochi giorni, cosa poteva fare una lettura costante e appassionata, una lettura compagna di tutta una vita?

Ma soprattutto: dopo aver provato su di me il suo potere salvifico desideravo moltissimo poter aiutare quante più persone possibile proprio grazie alla lettura. Libri + aiuto verso il prossimo: le due “vocazioni” che mi hanno sempre accompagnata. Ma mentre l’amore per i libri ha portato ad una Laurea in Lettere Moderne, il desiderio di aiutare il prossimo non aveva ancora trovato – fino a quel momento – uno sbocco lavorativo, ma solo personale.

Navigando sul web mi sono imbattuta in una parola magica: Biblioterapia. Una parola composta di Biblion, libro in greco, e da Therapeia, prendersi cura. Una disciplina in grado, cioè, di aiutare le persone attraverso l’uso dei libri. Che meraviglia! Quello che avevo sempre sognato! Ci ho pensato forse qualche ora prima di iscrivermi ad un corso per facilitatori in biblioterapia dello sviluppo – quella adatta a me e a tutte le figure professionali non mediche, che non curano patologie ma si rivolgono alla parte sana delle persone -. Un corso online composto da quattro moduli, che ho preso pure scontato; era proprio destino.

Ho incominciato subito a giugno a studiare tutto il materiale ma poi, con il caldo e le vacanze, ho smesso. A settembre ho ripreso, prima ripassando tutto e poi andando avanti, sia con i video registrati sia con il libro di testo e i materiali scaricabili. Non sapevo se e quando avrei utilizzato tutte queste conoscenze; sapevo solo che mi piaceva molto imparare cose nuove e leggere tutti i testi consigliati.

Avere un obiettivo di studio, a settembre, è stato la mia salvezza. Il tempo è passato veloce, sono riuscita sempre a fare tutto e mi sono anche divertita. Non sapevo ancora che ad ottobre mi sarei iscritta a due laboratori di biblioterapia, molto diversi tra loro, per apprendere sul campo le qualità e gli aspetti critici di questa disciplina. Ho letto, ho partecipato, ho fatto le mie riflessioni e, in un altro momento difficile – in autunno – si vede che questo è un anno che ha deciso di mettermi alla prova – ho trovato grazie alla biblioterapia le risposte che cercavo da tempo. Posso tranquillamente dire che i libri mi hanno salvata ancora una volta.

Ma questa è un’altra storia e per conoscerla bisognerebbe andare avanti con queste cronache per un altro anno; ritengo però che i miei venticinque lettori, per citare il Manzoni – in realtà i miei sono meno, di certo – siano ormai stanchi di sentire parlare solo di me e di una casa che è si vicino ad un bosco ma a parte questa caratteristica non si discosta molto dalle altre case limitrofe; tutte con il giardino, singole, per lo più bianche e con qualche vecchia panchina di pietra su cui pensare di poter riposare per scoprire poi che in verità la pietra è fredda e conviene certamente di più ritirarsi in casa (opps la Jane Austen che è in me mi ha preso la mano).

Arrivati a questo punto, non mi resta che ringraziarti per aver intrapreso questo viaggio con me; un viaggio lungo un anno, tra scoperte, amici animali, piccole gioie e grandi dolori, un anno vissuto con piena consapevolezza, mese dopo mese. Un anno vissuto insieme.

Ora mi conosci un po’ di più e sai che, se vorrai, potrai trovarmi sempre qui, in questa casa virtuale oppure su Instagram. Io sarò sempre qui, a leggere, scrivere e passeggiare con i miei amati animali. Se vuoi, puoi immaginarmi in giardino, seduta sotto un pino, con Beba accanto e George sulle ginocchia, che preparo i contenuti per il prossimo corso online.

Ti abbraccio forte.

Raffaella