La Signorina Euforbia aveva un negozio tutto suo in città, a metà circa di una strada deserta. Era il tipico posto dove o ci si capita per errore – nel qual caso significa che ci si è veramente persi – o si cerca giusto quello. In tutta la via infatti non c’era altro (…) Non un supermercato, né una macelleria o una panetteria. Nemmeno un ferramenta o un parrucchiere. Per questo la pasticceria spiccava così tanto in quel luogo, nonostante fosse minuscola e il compito di indicarla fosse affidato solo a una modesta insegna dipinta a mano; un puntino colorato nel grigio della via.
La Signorina Euforbia, con questo nome che suonava di un altro tempo, voluto dal padre che la immaginava fiorista, aveva due grandi occhi verdi, i capelli rossi e due piedi lunghissimi che spuntavano da un gonnellone a fiori; era una pasticcera molto particolare. Nessun dolce era infatti esposto in vetrina; solo un cartoncino piegato in due che se trovavi il coraggio di entrare e lo guardavi da vicino potevi leggere: Dalla Signorina Euforbia: pasticcini su misura.
Succede proprio così a Marta, che il pomeriggio di un’estate ancora acerba in cui il sole già caldo riempiva di luce e promesse la fine della scuola, si perde, insieme a sua nonna Adele, per quelle vie vuote e silenziose e si ritrova davanti a quella misteriosa vetrina.
Il posto era così particolare che la tentazione di entrarci fu irresistibile.
Lì dentro Marta scopre, anche se non subito, che su misura significa pensato apposta per te, plasmato sulle tue esigenze, in grado di aiutarti quando ne hai bisogno. Durante un’altra visita Marta scopre l’esistenza di un corso di pasticceria che sarebbe cominciato il lunedì successivo, perfetto per impegnare i primi giorni di vacanza. Quando torna in pasticceria con il padre professore e la nonna apprensiva, Euforbia riesce a conquistarli entrambi offrendo loro un chi-trova-un-amico-trova-un-tesoro, croccante cialda di pastafrolla ripiena di crema al cioccolato ai fiori d’arancio.
Tutti i dolci creati da Euforbia hanno infatti nomi stravaganti ma molto precisi, anzi l’atto di dare un nome a un dolce – come spiegherà in seguito a Marta – è il momento più importante e difficile di tutti. Dare un nome significa definire con precisione quello che sarà il risultato finale, l’effetto che si vuole ottenere e la scelta degli ingredienti e come amalgamarli tra loro verrà spontanea subito dopo.
Euforbia insegna ai suoi allievi principalmente l’empatia, quella capacità di immedesimarsi nei problemi degli altri e, attraverso l’immaginazione, a trovare soluzioni creative – sotto forma di pasticcini – per aiutarli a superare i loro momenti di difficoltà. Insegna poi loro la cura per quello che si fa, perché solo mettendo grande attenzione e amore i dolci riusciranno bene.
Nascono così i non-abbattiamoci-e-troviamo-una-soluzione, cestini croccanti dal cuore di cioccolato e il grande pasticcino non-sarà-perché-ho-il-gesso-che sarà-una-brutta-estate?
Anche Matteo, ex allievo del papà di Marta, bocciato in terza media, si unisce al corso e tra i due nasce una solida amicizia, fatta di comprensione, stima e aiuto reciproco. (…) con Marta era un’altra cosa, nei suoi occhi brillava una luce speciale che lo faceva sentire a suo agio: da lei si sentiva ascoltato per quello che aveva da dire e non solo per come lo diceva. Con lei non c’era bisogno di essere diverso, aveva la sensazione di andare bene così com’era.
Facendosi reciprocamente forza e mettendo in pratica quello che hanno imparato da Euforbia, Marta e Matteo riescono ad aiutare la loro maestra a trovare una soluzione quando le forze dell’ordine si presentano alla sua porta per eseguire uno sfratto esecutivo.
E’ un’esortazione a non arrendersi mai, a non lasciarsi sopraffare dagli eventi negativi, a rialzare la testa sempre e comunque, il nucleo centrale di questo romanzo, premio Andersen 2014, rivolto ai bambini dai 9 ai 12 anni, ma a mio parere, perfettamente godibile anche dagli adulti.
Ci si salva ma non da soli; solo mettendosi in gioco, uscendo cioè dal proprio guscio per allungare la mano verso l’altro, si possono vedere in una prospettiva diversa le proprie sconfitte e si può provare a superarle, insieme. Una bocciatura, uno sfratto, addirittura un lutto: possono essere accettati e superati se affrontati mano nella mano, con una persona che ci vuole bene e a cui noi vogliamo bene, magari con un buon gelato nell’altra.
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Raffaella
Che bella storia questo libro, ora corro su amazon, e che belli gli astucci abbinati! 🙂
Grazie mille Alessia, è davvero un libro bellissimo che ho letto e poi raccontato con vero piacere!
Questa storia mi.ispira molto… corro a cercarlo
Grazie Veronica, sono sicura che ti piacerà molto!