É cosa nota che le raccolte di racconti, in Italia, si vendano poco.

Per questo motivo l’editoria spinge molto di più sul romanzo, sia pubblicandone in numero maggiore, sia pubblicizzandoli meglio.

Ma perché il racconto si legge poco?

La prima risposta potrebbe essere proprio per la sua lunghezza: non così lungo da essere letto in più sessioni di lettura, non così breve da potersi leggere – spesso – in un’ unica.

Il racconto infatti, se non è brevissimo, costringerebbe il lettore ad una lettura che potrebbe durare anche qualche ora, lo spronerebbe cioè a stare fermo per un tempo più lungo di quanto farebbe con un romanzo. Oppure lo obbligherebbe a interrompersi e riprendere la lettura la volta successiva, ma essendo il racconto concepito per essere letto tutto d’un fiato, in questo modo il lettore perderebbe la bellezza della storia e ne rimarrebbe insoddisfatto.

Secondo Raul Montanari, si leggono meno racconti perché è difficile parlarne. Difficile per l’autore, per il recensore, per il libraio, per il lettore. Secondo me se ne leggono pochi anche per la mancanza di abitudine alla narrazione breve e per scarsa conoscenza. Avvicinarsi a una raccolta di racconti senza saperne nulla, senza averne mai letti prima, può essere complicato .

Un racconto ha delle caratteristiche strutturali e stilistiche diverse da un romanzo, non solo una diversa lunghezza.

Il racconto può essere definito come un’istantanea, una fotografia. Illumina per un breve momento la vita di un personaggio, la sua storia e poi finisce. Come dice Luca Ricci, grande scrittore di racconti, il racconto “inizia per finire”.

Per questo, un racconto inizia dopo che qualcosa c’è già stato e finisce prima che qualcos’altro accada. Il prima e il dopo quindi, che rappresentano il passato e il futuro del personaggio, sono fuori dalla storia. Non ci vengono raccontati. Li potremo ricostruire o immaginare noi, solo dopo aver letto quello che lo scrittore ha deciso di raccontarci.

Il racconto è quindi, come insegna Cognetti, “una narrazione incompleta”.

Grace Paley, altra grande scrittrice di racconti, lo definiva “un punto di domanda”. Mentre il romanzo risponde a tutte le domande, il racconto – se va bene – tenta di risponderne a una (sempre che ci riesca).

Mentre il romanzo costruisce una casa intera che noi possiamo abitare, il racconto può essere una finestra da cui sbirciare dentro.

Come si vede, la differenza non è solo di lunghezza ma proprio di intenzionalità, che si traduce in una differenza di stile, di forma, di uso delle parole. In un racconto sono tutte importanti, anzi più il racconto è corto più esse avranno importanza. Sempre Ricci dice che “l’importanza di ogni singola parola è inversamente proporzionale al numero di parole usate per comporre un testo”.

Il racconto è un enigma: si parte da una situazione, da una domanda e si cerca di arrivare, tramite il ragionamento e l’immaginazione, a una risposta.

E’ per questo che amo i racconti: gran parte del lavoro lo dobbiamo fare noi lettori, indagando, investigando, non lasciandoci sfuggire neppure una parola, per cercare di capire dove lo scrittore vuole andare a parare; per comprendere se quello che ci sta dicendo è proprio quello che vuole dirci oppure se è una lunga metafora per parlarci d’altro, per illuminarci su una realtà diversa, che non conosciamo.

In un racconto lo scrittore non si può nascondere. Mentre nel romanzo una scrittura non brillante può essere perdonata con una storia notevole, e viceversa, nel racconto lo scrittore è molto più esposto, tutto deve quadrare e la scrittura deve essere impeccabile.

Ecco un altro motivo per cui amo i racconti; sono un’ottima palestra, la migliore, per studiare i trucchi del mestiere dello scrittore e per imparare, quindi, a scrivere a nostra volta. Si, ma da dove cominciare?

Gli scrittori di racconti sono moltissimi, sia classici che contemporanei, e doverne scegliere solo alcuni non è semplice. Mi limiterò a dare qualche suggerimento.

Se si vuole partire dalle basi, conoscere cioè gli antesignani del genere, consiglierei di partire da Cechov, “Racconti”, Guy de Maupassant, “Racconti” e Nathaniel Hawthorne, “Racconti raccontati due volte”. Studiare questi classici ci fornirà le fondamenta da cui iniziare.

Spaziando tra i miei preferiti, vorrei citare Cheever, “I racconti”, che così bene ha saputo descrivere quello che si nasconde dietro la facciata appena ridipinta delle villette a schiera del New England.

Tra le scrittrici amo molto Alice Munroe e il suo Canada rurale ( per conoscerla potete partire da “Chi ti credi di essere?”, raccolta singolare perché tutti i racconti hanno la stessa protagonista) e Joyce Carol Oates, di cui ho letto “Un’educazione sentimentale”; le sue storie sono inquietanti e lasciano aperte molte domande. Infine non posso non citare due scrittrici classiche: Virginia Woolf, la cui raccolta di racconti “Lunedì o martedì” è da conoscere assolutamente e Katherine Mansfield e la sua “Una pensione tedesca”.

Per tutti questi motivi ho deciso di dedicare due dei miei percorsi alla scoperta della narrazione breve. Sono ora in partenza:

  • Le signore del racconto, percorso dedicato alle grandi scrittrici che si sono dedicate al racconto (sia classiche che contemporanee)
  • Fantasmi sotto l’albero, percorso dedicato al racconto gotico, secondo la tradizione inglese sette-ottocentesca che invitava a raccontarsi storie di paura accanto al camino, prima di andare a letto, nel periodo che precedeva il Natale.

 

Bibliografia:

  • A pesca nelle pozze più profonde, Paolo Cognetti, Minimum fax
  • Il racconto breve, Marco Peano, Scuola Holden per De Agostini