Un anno fa, circa, vivevo in una villetta  a schiera davanti alle rotaie del treno. Ci vivevo da poco più di nove anni, insieme alla mia famiglia.

Ero molto affezionata a quella casa: lì erano cresciuti i miei bambini ( avevano sette e due anni quando ci siamo trasferiti ), avevo imparato a cucire, avevo letto e studiato tanto ed ero infine riuscita ad avviare una mia attività che nel nome e nel logo doveva tanto a quella casa.

Lì avevamo conosciuto e poi adottato George, il nostro gatto rosso.

Credevo fosse la mia casa definitiva.

C’erano alcune cose che non mi piacevano ma non mi decidevo mai a sistemarle.

Durante la caldissima estate del 2019 ho cominciato, nei lunghi pomeriggi afosi, a consultare i siti della agenzie immobiliari.

Sognavo una casa nel bosco, con un giardino pieno di alberi in modo che l’estate successiva l’avrei potuta trascorrere all’ombra di un abete anziché chiusa in casa, attaccata al ventilatore. Perché La casa vicino al treno aveva sì un giardino, ma piccolo, tutto esposto a est e a sud e, se al mattino si poteva trovare un po’ di refrigerio sul balcone della cucina, al pomeriggio il sole avvolgeva tutta la casa in un abbraccio di fuoco e uscire in giardino diventava impossibile.

Sognavo un portico che facesse ombra; avevo una tenda per il sole che non allontanava il calore.

Nonostante i miei desideri, però, non ho mai avuto l’idea concreta di voler cambiare casa. Leggevo gli annunci delle agenzie per distrarmi, per trascorrere qualche ora ma senza nessuna intenzione.

Poi a settembre, finalmente, le giornate si sono allungate. Il caldo è diminuito, soprattutto alla sera e al mattino. Al pomeriggio però c’erano ancora ventotto o ventinove gradi e io, che credevo di essermi ormai lasciata l’estate alle spalle, mi ritrovavo in una casa completamente avvolta dal sole, in cui non sapevo in quale stanza rifugiarmi. e anche stare fuori era impossibile.

Credo sia nato allora il desiderio fortissimo di guardarmi attorno in cerca di un’altra soluzione. Riuscivo ad accettare – anche se a fatica – il caldo estivo; quello che non accettavo era di ritrovarmi a settembre con tanto lavoro da recuperare e nessun posto ombroso e ventilato dove rifugiarmi. Né dentro né fuori.

Sono andata a visitare la Casa la prima volta, insieme a mio marito, per pura curiosità.

Era un inizio di Ottobre ancora caldo, nel giardino della casa vicino al treno non si riusciva a stare sotto alla tenda. Nella Casa, invece, faceva freddo, parte del giardino era in ombra e sono rabbrividita.

Avevo scelto quella casa d’impulso, sulla carta aveva tutte le caratteristiche che piacevano a me, e le foto, che mostravano interni luminosi con grandi finestre, mi avevano incuriosito. Mio marito, invece, mi aveva accompagnata solo per farmi contenta ma mai, per nessun motivo, avrebbe voluto cambiare.

Durante quella prima visita mi sono innamorata.

Vedevo anch’io i limiti e i “difetti”, capivo anch’io la pazzia di una decisione del genere, avevo anche io paura – tantissima! – per tutto quello che ci aspettava. ma mi ero innamorata e non riuscivo a fare altro che sognare la casa, guardare le sue foto, tenere le planimetrie aperte sul letto – quando le ho avute – e misurare i miei mobili per capire se ci potessero stare o meno.

E molti non ci stavano neppure, tra l’altro.

Mio marito era contrario, ai miei figli non importava nulla. Loro stavano già bene dov’erano.

La mia parte razionale sapeva che era una follia; tutti i miei amici  e familiari disapprovavano la scelta o, nella migliore delle ipotesi, mi guardavano come se fossi matta. La frase che ho sentito più spesso è stata: ma hai già una bella casa.

Odiavo quella frase. Ma sapevo che era vera.

Sapevo che avevano ragione. Dal loro punto di vista avevano perfettamente ragione.

Ma il loro punto di vista non era il mio. Loro cercavano di consigliarmi in buona fede ma loro non erano me.

Non erano loro a dover vivere in una casa che non li rispecchiava più.

Sono convinta che ogni casa sia la rappresentazione esterna della nostra interiorità: del nostro animo, del nostro io più profondo.

Avvertivo un disagio che al momento non riuscivo a spiegare neanche a me stessa ma che era lì, chiaro davanti ai miei occhi.

Mi sono buttata nell’avventura che mi sono trovata davanti senza rete, senza sicurezze e direi anche senza mani.

Ho cercato di prendere la forza e un po’ di coraggio dalle uniche due persone che mi appoggiavano: G., la mia “guida spirituale”, una persona che conosco da vent’anni e che mi ha insegnato tanto, e A., un’amica da poco ritrovata.

Loro mi hanno sempre incoraggiata ad andare avanti. Grazie a loro ho proceduto a piccoli passi, un giorno dopo l’altro, anche se i primi mesi non succedeva niente.  Mi sono anche affidata ad un’entità superiore, che potrei chiamare Provvidenza, e sono certa che in questa storia abbiano agito forze esterne indipendenti da me.

Mio marito, dopo più di un mese, senza che abbia mai cercato in nessun modo di convincerlo – e come avrei potuto? Non ero affatto sicura di agire per il bene di tutta la mia famiglia – mi ha detto di aver cambiato idea. Era con me.

Nonostante questo, ci sono state molte altre difficoltà da superare prima di presentare la nostra proposta di acquisto, il tredici dicembre, giorno di Santa Lucia ( nome dell’ultima proprietaria, mancata qualche anno prima, a cui mi rivolgevo mentalmente con un pensiero affettuoso perché mi indicasse la via giusta da seguire). Proposta azzardata, perché di molto inferiore a quanto chiesto.

Sapevo che avevano respinto offerte migliori della nostra ma in quel momento era l’unica che potessimo fare.

Non avevamo nemmeno ancora messo in vendita la nostra casa. Non avevamo idea se saremmo riusciti a venderla o meno e quando.

Io ero certa avrebbero rifiutato. Credo anche mio marito ( o forse lo sperava?).

Il giorno dopo ricevemmo la risposta.

Avevano accettato!   Io e C. ci siamo guardati increduli:  da lì  a breve sarebbe incominciata la nostra avventura.