Allersmead. Una grande villa di epoca edoardiana all’interno di un grande parco, non lontano da Londra.
Una maestosa scalinata, marmo bianco e nero all’ingresso, boiserie di quercia, vetrate colorate e un caminetto in ogni stanza.
Allersmead custodisce ancora i ricordi di quanti vi hanno vissuto in passato, vi sono nati e morti, hanno amato e se ne sono andati.
Si rammenta molto bene di un’epoca in cui all’ultimo piano risiedevano i domestici, in cui ci si spostava in carrozza e si davano feste sontuose.

In questa grande casa vivono Alison, che ha sempre desiderato avere dei figli e ha fatto della maternità e di una famiglia unita la sua ragione di vita e Charles, padre e marito assente, unicamente interessato ai libri che scrive, assieme ai loro sei figli e a Ingrid, la ragazza alla pari svedese che non se n’è mai andata.
Attraverso i ricordi del problematico Paul, della contestatrice Gina, della raffinata e inquieta Sandra, di Kate e Roger, sempre uniti e di Claire, volitiva e determinata, cerchiamo di ricostruire la storia di questa famiglia, mettendo insieme istantanee che rimandano a compleanni passati, cene in famiglia, pic-nic, anniversari, vacanze in Cornovaglia.

Tra incomprensioni, silenzi, discussioni animate, battute sarcastiche e ancora silenzi, passano gli anni all’ombra della grande casa, i bambini crescono e se ne vanno uno alla volta, ma qualcosa resta per sempre bloccato agli anni della loro infanzia, un segreto che si nasconde tra le tazze con i nomi ancora appese al gancio in cucina, sulle corde dell’altalena che cigola, quando c’è vento, in giardino. Nella buca, ora ricoperta, dove si trovava lo stagno; in cantina, nell’angolo buio e polveroso dove – sulla lavagna – si leggono i sei nomi mezzi cancellati.

Una verità mai detta, nascosta, negata, rifiutata perché nulla doveva turbare l’equilibrio apparente su cui si basava l’armonia familiare, i suoi riti, le sue tradizioni.
Grande indagatrice dell’animo umano, Penelope Lively ha scritto questo romanzo nel 2009, a settantasei anni, regalandoci una profonda e accurata analisi della psicologia dei suoi personaggi , ponendoci di fronte a interrogativi anche inquietanti.

Conosciamo davvero quanti ci vivono accanto?

Cosa sappiamo realmente della loro vita interiore, delle loro emozioni?
Esiste un’unica VERITA’ oggettiva o dobbiamo accontentarci di diverse visioni parziali, soggettive, tante quanti sono i personaggi di una storia?
Credo sia inevitabile, quando ci si imbatte in questo romanzo, tornare con la memoria alla propria infanzia, ai riti e alle tradizioni che credevamo fossero universali e invece scopriamo essere solo nostre, della nostra famiglia, diverse da quelle di tutti gli altri e mi è tornata in mente una frase di Fabio Genovesi, che nello splendido Chi manda le onde scriveva: “Siamo tutti normali, finché non ci conosci abbastanza”.

Se ti è venuta voglia di leggere questo romanzo, lo puoi trovare QUI.

Raffaella
La casa vicino al treno